Anna Magnani (Roma, 7 marzo 1908 – Roma, 26 settembre 1973) è stata un’attrice italiana.
Spesso chiamata con il soprannome di Nannarella, è considerata una delle maggiori interpreti femminili della storia è tra le poche attrici (sicuramente la prima italiana) a essere celebrata come mito, talento unico e grande personalità artistica in tutto il mondo.
Attrice simbolo del cinema italiano, è altresì particolarmente conosciuta per essere stata, insieme con Alberto Sordi e Aldo Fabrizi, una delle figure preminenti della romanità cinematografica del XX secolo. Celebri le sue interpretazioni, soprattutto in film come Roma città aperta, Bellissima, Mamma Roma e La rosa tatuata. Quest’ultimo le valse nel 1956 un Oscar alla miglior attrice protagonista (la prima attrice non di lingua inglese a ricevere il premio). Ha inoltre vinto due David di Donatello, cinque Nastri d’argento, un Globo d’oro, un Golden Globe, un BAFTA, due National Board of Review, un New York Film Critics Circle Award, una Coppa Volpi a Venezia e un Orso d’argento a Berlino.
«Ho capito che non ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di meno. Per tutta la vita ho urlato con tutta me stessa per questa lacrima, ho implorato questa carezza. Se oggi dovessi morire, sappiate che ci ho rinunciato. Ma mi ci sono voluti tanti anni, tanti errori» (Anna Magnani)
Anna Magnani nacque a Roma il 7 marzo 1908 presso Porta Pia nell’odierno quartiere Nomentano[10]. Sua madre Marina Magnani era una sarta originaria di Fano che, dopo aver dato alla luce la piccola Anna, la affidò definitivamente alle cure della nonna materna Giovanna Casadio (di origini ravennati); crebbe in via San Teodoro, tra il Campidoglio e il Palatino. La bambina non conoscerà mai il padre naturale. Da adulta, effettuando delle ricerche sull’identità del padre, Anna scoprirà le sue origini calabresi e quello che avrebbe dovuto essere il suo cognome, Del Duce (il nome del padre era Pietro Del Duce); (dirà poi, ironicamente, di essersi fermata nelle ricerche perché non voleva passare come “la figlia del Duce”).
Dopo aver abbandonato la figlia, Marina Magnani emigrò ad Alessandria d’Egitto, dove conobbe e sposò un ricco e facoltoso austriaco. Per questo motivo per lungo tempo si credette che la Magnani fosse nata in Egitto; successivamente però la verità venne a galla, prima per ammissione della stessa attrice, poi per le conferme del figlio. Anna venne quindi allevata dalla nonna in una casa abitata dalle cinque zie Dora, Maria, Rina, Olga e Italia. L’unica presenza maschile era quella dello zio Romano.
La nonna si impegnò a fondo per crescere e far studiare la nipotina, iscrivendola presso un collegio di suore francesi, dove però la bambina rimase solo pochi mesi. Anna intraprese ben presto lo studio del pianoforte e si iscrisse al Liceo Musicale Santa Cecilia, dove rimase per due anni. Nel frattempo, si recò ad Alessandria d’Egitto in visita alla madre, ma tornò molto provata da quell’esperienza che si era rivelata molto dolorosa perché tra le due donne non era riuscito a crearsi quel rapporto affettuoso madre-figlia che sempre le era mancato.
Rientrata a Roma, decise di abbandonare lo studio della musica, che non la soddisfaceva pienamente, e si indirizzò verso la recitazione.
Nel gennaio 1927 iniziò a frequentare con Paolo Stoppa la scuola di arte drammatica Eleonora Duse diretta da Silvio D’Amico avendo come insegnante Ida Carloni Talli. Silvio D’Amico capì subito la forza dirompente di quella ragazzina della quale, diceva, “la Scuola non poteva insegnarle molto di più di quello che ha già dentro di sé…”, perché lei aveva già quel carisma che l’avrebbe resa indimenticabile. Raccontava a sua sorella (sceneggiatrice) “Ieri è venuta una ragazzina, piccola, mora con gli occhi espressivi. Non recita, vive le parti che le vengono assegnate. È già un’attrice…”. Tra il 1929 e il 1932 fece parte della compagnia Vergani-Cimara, diretta da Dario Niccodemi.
Nel 1932 Anna Magnani e Paolo Stoppa si ritrovarono a lavorare insieme nella compagnia di Antonio Gandusio, il quale ben presto si innamorò della Magnani e apprezzò a tal punto le sue qualità da spingerla a tentare anche la strada del cinema. Nel 1934 passò alla rivista, accanto ai fratelli De Rege, lavorando poi, a partire dal 1941, in una fortunata serie di spettacoli con Totò. Nel 1944 recitò nella rivista Cantachiaro di Franco Monicelli, Italo De Tuddo, Garinei e Giovannini, e nel 1945 in Soffia so’… .
Il suo debutto cinematografico avvenne nel film La cieca di Sorrento (1934) di Nunzio Malasomma, nonostante nel 1928 fosse già apparsa, in un ruolo marginale, nella pellicola Scampolo di Augusto Genina. Il 3 ottobre 1935 sposò il regista Goffredo Alessandrini, con cui nel 1936 girò Cavalleria, dal quale si separò nel 1940, divorziando poi solo nel 1972. Nel 1938 prese parte al film La principessa Tarakanova, dove non recitò con la propria voce, ma fu doppiata da Marcella Rovena.
Successo
Dopo numerosi film in cui interpretava parti di cameriera o cantante, riuscì a imporsi per le sue eccezionali doti di interprete spiccatamente drammatica. Fu Vittorio De Sica a offrirle per la prima volta la possibilità di costruire un personaggio non secondario, quello di Loretta Prima, artista di varietà, nel film Teresa Venerdì (1941). Recitò nell’avanspettacolo di Totò e interpretò il ruolo della verduraia romana in Campo de’ Fiori (1943) con Aldo Fabrizi.
Il 23 ottobre 1942 diede alla luce il suo unico figlio, Luca, frutto di una relazione con l’attore Massimo Serato, che l’abbandonò non appena lei era rimasta incinta; l’attrice riuscì a imporre il proprio cognome al figlio, proprio come la madre Marina fece con lei, uno dei rari casi di genealogia matrilineare che si protrae per addirittura tre generazioni. Sempre nel 1942 recitò in Finalmente soli, dove fu doppiata da Tina Lattanzi.
Raggiunse la fama mondiale nel 1945 e vinse il suo primo Nastro d’argento grazie all’interpretazione nel film manifesto del Neorealismo, Roma città aperta di Roberto Rossellini (con il quale instaurò una relazione sentimentale), con Aldo Fabrizi e Marcello Pagliero. Nel film Anna Magnani è protagonista di una delle sequenze più celebri della storia del cinema: la corsa dietro un camion tedesco, nel quale è rinchiuso il marito, al termine della quale il suo personaggio (la ‘Sora Pina’, ispirato alla figura di Teresa Gullace) viene ucciso dai colpi di mitra dei tedeschi. Nello stesso anno partecipò al film Quartetto pazzo, anche stavolta doppiata dalla Lattanzi, mentre l’anno successivo prese parte al film musicale Avanti a lui tremava tutta Roma, dove fu doppiata per le scene di canto lirico dal soprano Elisabetta Barbato.
Nel 1947 vinse il suo secondo Nastro d’argento e il premio per la miglior attrice alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il film L’onorevole Angelina diretto da Luigi Zampa.
Rottura con Rossellini
Nel 1948 interpretò il suo ultimo film con Roberto Rossellini, prima della rottura della loro relazione, L’amore, diviso in due atti. Il primo (ispirato al dramma in atto unico di Jean Cocteau La voce umana) è un lungo monologo al telefono di una donna abbandonata dal compagno; il secondo è la storia di una popolana che si concede ad un giovane pastore (interpretato da Federico Fellini) credendolo San Giuseppe: per lei fu il terzo Nastro d’argento. Nel 1949 girò Vulcano diretto da William Dieterle e interpretato accanto a Rossano Brazzi e Geraldine Brooks, nell’isola vicina a quella dove Rossellini stava girando Stromboli (Terra di Dio) con la sua nuova compagna Ingrid Bergman. Le riprese dei due film sono ricordate dalla storia del cinema come la guerra dei vulcani.
Nel 1951, con il memorabile personaggio di Maddalena Cecconi, fu l’intensa protagonista del film Bellissima di Luchino Visconti, sceneggiato da Cesare Zavattini, con Walter Chiari, Corrado, Alessandro Blasetti, Tecla Scarano, e vinse il suo quarto Nastro d’argento. Il quinto e ultimo Nastro d’argento le sarà conferito per il film Suor Letizia – Il più grande amore (1956) di Mario Camerini.
Nel 1952 interpretò Anita Garibaldi nel film Camicie rosse, affiancata da Raf Vallone e diretta dall’ex marito Goffredo Alessandrini, con cui si scontrerà molto aspramente, tanto che quest’ultimo abbandonò il set prima della fine delle riprese (portate a termine dall’aiuto regista, l’allora debuttante Francesco Rosi). Nello stesso anno recitò in La carrozza d’oro di Jean Renoir, primo film europeo girato in technicolor. Nel 1953, interpretando sé stessa, venne nuovamente diretta da Visconti nel quinto episodio della pellicola Siamo donne.
Nella sua villa al Circeo accoglieva spesso un ristretto gruppo di amici, tra cui Marisa Merlini, Elsa De Giorgi, Franco Monicelli, Alberto Sordi e Suso Cecchi d’Amico.
L’Oscar e il prosieguo della carriera
Il 21 marzo 1956 fu la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere il Premio Oscar come migliore attrice protagonista, e la prima in assoluto madrelingua non inglese, conferitole per l’interpretazione di Serafina Delle Rose nel film La rosa tatuata (1955), con Burt Lancaster, per la regia di Daniel Mann. Per lo stesso ruolo, vincerà anche un BAFTA quale attrice internazionale dell’anno e il Golden Globe per la migliore attrice in un film drammatico. La Magnani non presenziò alla cerimonia: l’Oscar venne ritirato da Marisa Pavan, anche lei candidata come migliore attrice non protagonista per lo stesso film, dalle mani di Jerry Lewis. Quando un giornalista statunitense le annunciò che aveva vinto l’Oscar, rimase in silenzio per poi esclamare: “Magnani is happy!”.
Un altro riconoscimento internazionale, quello per la miglior attrice al Festival di Berlino, le venne conferito nel 1958 per l’interpretazione del film Selvaggio è il vento (1957) di George Cukor in cui fu affiancata da Anthony Quinn e Anthony Franciosa. Per lo stesso ruolo, sempre nel 1958, vinse anche il suo primo David di Donatello come migliore attrice e fu candidata per la seconda volta al premio Oscar, che venne assegnato a Joanne Woodward per La donna dai tre volti (1957) di Nunnally Johnson.
Nel 1959 vinse il suo secondo David di Donatello per il film Nella città l’inferno (1958) di Renato Castellani, interpretato assieme a Giulietta Masina: la pellicola, piuttosto inusuale nel panorama cinematografico italiano di allora, è ambientata in un carcere femminile. Nel 1960 tornò a Hollywood per l’ultima volta, per recitare accanto a Marlon Brando e Joanne Woodward nel film Pelle di serpente di Sidney Lumet, ove affrontò un personaggio tragico scritto apposta per lei da Tennessee Williams.
Nel 1960, e nonostante un primo interessamento, non divenne la protagonista de La ciociara: il film, la cui regia fu inizialmente affidata a George Cukor, avrebbe dovuto vederla nella parte di Cesira, mentre Sophia Loren era stata già scritturata per la parte della figlia Rosetta. La Magnani finì per rifiutare il ruolo perché si considerava troppo matura per quel personaggio, e non voleva interpretare la madre di Sophia Loren, e così fu la stessa Loren a interpretare la parte di Cesira (che le fruttò l’Oscar nel 1962), mentre il ruolo di Rosetta venne assegnata all’adolescente italo-americana Eleonora Brown. Senza la presenza della Magnani, Cukor decise di ritirarsi dalla produzione e venne sostituito da Vittorio De Sica. Sfumato il progetto, nello stesso anno affiancò Totò e Ben Gazzara nella commedia Risate di gioia di Mario Monicelli, film che doveva anche rilanciare l’attrice nel cinema italiano dopo la parentesi americana, ma che non ebbe molto successo.
Nel 1962 fu la protagonista di Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, regista con il quale instaurò un rapporto conflittuale. Pasolini, dopo l’esordio del 1961 con Accattone, cercò in ogni modo di lavorare con la grande attrice, ormai sempre più selettiva nello scegliere i propri ruoli; la Magnani accettò, ma entrambi rimasero insoddisfatti dal risultato ottenuto. Lei disse “Pasolini mi ha usata”, mentre lui sosteneva che lei era stata “troppo borghese”. In ogni caso, nonostante le loro incomprensioni, che comunque non andarono mai a intaccare la stima reciproca, il film ottenne un grande successo di pubblico e di critica soprattutto in Francia, mentre in Italia al grande successo di critica seguiranno invece incassi deludenti.
Nel 1963 si recò in Francia per recitare nella commedia La pila della Peppa di Claude Autant-Lara, insieme a Bourvil e Pierre Brasseur, che ebbe una difficile gestazione e scarso successo. Dopo essere apparsa nel 1965 in La Famiglia, uno degli episodi di Made in Italy di Nanni Loy, prese parte al suo ultimo film americano, girato in Italia, Il segreto di Santa Vittoria (1969) di Stanley Kramer, accanto a Anthony Quinn, Virna Lisi, Hardy Krüger e Giancarlo Giannini, e per il quale ottenne una candidatura alla migliore attrice al Golden Globe. Nel 1965 tornò a recitare in teatro con La lupa di Giovanni Verga, per la regia di Franco Zeffirelli, e nel 1966 con Medea di Jean Anouilh, diretta da Gian Carlo Menotti.
Nel 1971 si cimentò per la prima volta con la televisione. Con la regia di Alfredo Giannetti interpretò un ciclo di tre mini-film piuttosto diversificati, sotto il titolo di Tre donne: La sciantosa, 1943: Un incontro e L’automobile, forse l’episodio più riuscito e la cui colonna sonora originale venne composta da Ennio Morricone e diretta da Bruno Nicolai. Giannetti diresse poi la Magnani in una quarta pellicola, Correva l’anno di grazia 1870. In questi film suoi partner furono Massimo Ranieri, Vittorio Caprioli, Enrico Maria Salerno e Marcello Mastroianni.
Di questi quattro film, i primi tre furono trasmessi sul Programma Nazionale (l’odierna Rai 1) in prima serata tra il 26 settembre e il 10 ottobre del 1971. Il quarto, Correva l’anno di grazia 1870, fu invece inizialmente destinato al circuito cinematografico e solo successivamente fu trasmesso in TV sul Secondo Programma (l’attuale Rai 2) con il titolo 1870. Per la stampa ci fu una proiezione della versione televisiva in anteprima a Roma, nella sede Rai di viale Mazzini, ma l’attrice non partecipò alla presentazione perché già malata: morì poche ore prima della trasmissione, prevista, per una dolorosa coincidenza, proprio la sera del 26 settembre 1973.
Morte
Al 1972 risale la sua ultima apparizione cinematografica, in un cameo fortemente voluto da Federico Fellini per il film Roma. Di notte, una dolente Anna Magnani attraversa i vicoli di una Roma silenziosa e deserta per rientrare a casa. Risponde a Fellini con un tono di sorpresa, lo congeda velocemente e sorridendo chiude il portone davanti alla macchina da presa, e così l’attrice conclude la sua lunga carriera cinematografica. La sua battuta finale, espressa in romanesco, fu “No, nun me fido. Ciao. Buonanotte!”.
Morì nella clinica Mater Dei di Roma il 26 settembre 1973, all’età di 65 anni, stroncata da un tumore al pancreas; fu assistita fino all’ultimo dal figlio Luca e da Roberto Rossellini, al quale si era riavvicinata negli ultimi tempi. Le sue spoglie riposano nel piccolo cimitero di San Felice Circeo, nei pressi della sua villa.
Tributi
Secondo il critico cinematografico francese Jean Gili, a bordo del Vostok 1, il 12 aprile 1961, Jurij Gagarin avrebbe mandato questo messaggio: “Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti, e Anna Magnani”.[26] Tuttavia, le trascrizioni ufficiali della missione desecretate nel 1991 non fanno menzione né dell’attrice né al resto della frase.
Jean Renoir scrisse: “La Magnani è la quintessenza dell’Italia, e anche la personificazione più completa del teatro, del vero teatro con scenari di cartapesta una bugia fumosa e degli stracci dorati, dovevo logicamente rifugiarmi nella commedia dell’arte e prendere con me in questo bagno la Magnani, le sono grato per aver simboleggiato nel mio film tutte le altre attrici del mondo”.
A pochi giorni dal suo arrivo in America la stampa dichiarò: “In confronto a lei le nostre attrici sono manichini di cera paragonate ad un essere umano”. Il Time scrisse: “Divina, semplicemente divina”.
Dopo le riprese del film Mamma Roma, Pier Paolo Pasolini commentò così la loro collaborazione: “Anna è romantica, vede la figura nel paesaggio, è come Pierre-Auguste Renoir, io invece sono sulla strada del Masaccio”.
Dopo la sua morte, tante le iniziative in Italia e all’estero per ricordare Anna Magnani. Tra le più rilevanti, quella nel 2002 al Museum of Modern Art di New York che le rese omaggio dedicandole una retrospettiva con la proiezione di 14 suoi film.
Gianni Togni le ha dedicato Nannarè, contrazione romanesca del soprannome Nannarella, contenuta nell’album Bersaglio Mobile del 1988, così come Pino Daniele con Anna verrà, inserita nel disco Mascalzone latino del 1989; anche Carmen Consoli ha scritto una canzone, intitolata “Anna Magnani”, cantata da Adriano Celentano, e della quale si trovano in rete versioni interpretate anche dalla stessa autrice.
Eduardo de Filippo dedica all’attrice un’intensa poesia a pochi mesi dalla sua scomparsa: “Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano gli occhi di Nannarella che seguivano le camminate lente sfiduciate ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo li hanno uditi “.
Paola Turci nell’album Il secondo cuore del 2017, le dedica il brano di chiusura “Ma dimme te” con strofe che sintetizzano in maniera indelebile l’ardore e la passione nell’amare dell’attrice.
Le è stato dedicato un cratere di 26 km di diametro sul pianeta Venere.
Tennessee Williams scrisse: “ma Anna è diversa da tutte. È una creatura incredibile, metà femmina e metà maschio. La sua anima è un tutt’uno con il suo utero, materno e possessivo alla stessa stregua. Una volta che ti ha generato è pronta a fagocitarti. Di virile ha la cocciutaggine e la permalosità”.
Silvano Castellabeppe scrisse: «La Magnani è immensa. Attrice sensibile, intelligentissima. E non venitemi a parlare di volgarità. La Magnani va collocata, studiata e criticata sul piano del romanesco. Allora si vedrà che, nella sua virulenza plebea, l’attrice deriva proprio dalla tradizione popolare più pura e quindi più nobile. Giovacchino Belli scenderebbe dal suo piedistallo e s’inchinerebbe, con la tuba in mano davanti a lei. C’è un momento nel film in cui il “vammoriammazzato!” di Anna Magnani, rivolta a un tedesco, toglie il respiro e rimane nell’aria, tragicamente come una condanna definitiva».
Era “la donna più misteriosa e più chiara che la mitologia del cinematografo abbia inventato, (…) una donna di carattere”, scriveva sull’Europeo Oriana Fallaci.
Federico Fellini disse: “Anna Magnani ha incarnato la figura femminile che ha dato agli italiani un motivo d’orgoglio.”
Indro Montanelli scrisse: “Io la ringrazio soprattutto di esistere. Nessuna creatura mi ha mai dato tanto, e così generosamente, quando dà. Per fortuna non se ne accorge e non esige impossibili restituzioni.”
Giuseppe Ungaretti scrisse: “Ti ho sentito gridare Francesco dietro un camion e non ti ho più dimenticato”.
Marisa Merlini in un’intervista: “Ci aveva dei periodi di dolcezza, di infinita dolcezza e dei periodi in cui era arrabbiata che apriti cielo! Non le risparmiava a nessuno! Quando doveva dire, lei ammazzava con le parole in un modo stupendo”.
Franco Zeffirelli scrisse: “Era l’incapacità di realizzarsi come donna nella vita che le dava questo assatanamento, e che le permetteva perciò di realizzarsi su un altro piano. E infatti lei ha cercato di prendere le sue vendette nel lavoro. E c’è riuscita. Ma ha pagato tutto questo duramente. Il lavoro le ha sottratto la vita. Anna poi era una donna fragile, debole, piena di dubbi e di incertezze. Avrebbe avuto bisogno di un uomo che si imponesse e la sottomettesse. Ma lei era anche, ormai, Anna Magnani e come si fa a imporsi a un personaggio del genere? Insomma era due donne diverse e gli uomini di fronte a questo enigma, a questo Giano bifronte sbarellano, non reggono. In fondo il dramma di tutta la vita di Anna sta proprio lì. La cosa più vera, più sincera, più commovente, Anna me la disse tre anni fa in una delle sue tante confessioni notturne, mi disse: «Io sono una stronza, io dovevo nascere contadina nell’agro romano, fare tredici figli, sì, scodellare figli a mio marito e ogni volta che aprivo bocca quello mi riempiva la faccia di schiaffi. Questo era il personaggio mio, per essere vera con la mia natura. E dovevo far così. Invece mi son messa a far l’attrice, sono diventata Anna Magnani e sono stata un’infelice per sempre»”.
Antonello Trombadori la ricorda così: “Il romanesco era per lei un modo di comunicare con il pubblico. Casomai Anna Magnani era un’intellettuale mancata, non era un’attrice popolaresca ma un’attrice che mirava a essere estremamente funzionale e intellettuale. Non era un’istintiva, ma meditata e pensata. Più di quello che si possa credere. L’istinto e l’impulso a comunicare non vengono in lei abbandonati a se stessi ma sorvegliati e indirizzati. Per cui i suoi personaggi non sono il suo punto di partenza, ma un modo di essere dentro ciò che è popolaresco”.